Orfeo
E già ritornando sui propri passi era scampato a tutti i pericoli,
ed Euridice, restituita, giungeva al mondo dei vivi
seguendo dietro e infatti questo obbligo aveva imposto Proserpina, quando un’improvvisa follia colse l’incauto innamorato, perdonabile in verità, se i Mani sapessero perdonare:
si fermò e la sua Euridice, ormai proprio vicino alla luce,
smemorato, ohimè, e vinto nell’animo si volse a guardare.
Allora ogni fatica fu sprecata, e furono infranti i patti
dello spietato tiranno, e tre volte si udì un fragore nelle paludi Averne. Ella: “Quale follia ha perduto sia me misera” disse “sia te, Orfeo,
quale follia così grande? Ecco, di nuovo indietro i crudeli destini mi chiamano, e il sonno sommerge i miei occhi smarriti. E ora addio: sono trasportata avvolta da un’oscurità infinita,
e tendendo a te, ohimè non tua, le invalide mani!”
Disse, e dallo sguardo immediatamente, come fumo dissolto nella brezza leggera, fuggì dall’altra parte, né lui,
che invano cercava di abbracciare le ombre e molte cose voleva dire, vide più, né il doganiere dell’Orco
permise più che egli attraversasse la palude che li separava.
Virgilio-Orfeo ed Euridice (Virg. Georg. IV 485-503)