Eteria
Icone perdute di Andrea Chisesi
«Pueti, sunaturi e stampa santi, càmpanu tutti poviri e pizzenti»
“ETERIA” è il titolo che racchiude le opere della collezione di Andrea Chisesi. Essa conserva alcuni valori perduti nel tempo; attraverso il tessuto storico artistico del territorio siciliano, inteso anche come grande officina d’arte artigianale sacra, l’artista ripercorre le immagini dei “Santini” partendo da Santa Lucia, Patrona della città di Siracusa.
L’interesse di Chisesi per l’arte sacra inizia di pari passo con il suo percorso artistico e viene consacrato con la collaborazione di Nicolai Lillin, noto scrittore russo naturalizzato italiano. Nel 2010 Chisesi reinterpreta i Santi della cultura siberiana criminale, tratti dal celebre libro Educazione Siberiana.
Nascono così “le icone armate”, apparentemente dissacratorie, rappresentanti la cultura del popolo Urca, abitanti della Transnistria, che combattevano per salvare il villaggio dalla fame, dalla miseria e dalla violenza subita costantemente dall’esercito russo, secondo il racconto del libro di Lilin. Le icone sono armate e tatuate con i simboli della resistenza e ogni tatuaggio porta con sé il valore delle azioni perpetrate, perché attraverso i simboli di un codice segreto il tatuatore ne racconta le imprese.
Legate alla cultura Ortodossa, queste icone rappresentano un monito per chi le guarda, poiché il peccato viene punito con la regola “occhio per occhio, dente per dente”; nella cultura cattolica invece è il perdono che sta alla base della dottrina, con la profetica raccomandazione attribuita a Gesù di «porgere l’altra guancia». Ecco perché le icone della cultura ortodossa criminale sono armate, difendono il popolo con le armi che spesso i criminali conservano nelle loro case intrecciandole con il Rosario per dare protezione alla casa e diventando simboli della necessaria protezione divina.
Nella cultura cattolica, i Santi sono da sempre stati armati, il San Giorgio che uccide il drago utilizza una lancia, la Madonna delle milizie impugna una spada, l’Arcangelo Gabriele schiaccia il demonio fendendolo con la spada, sono solo alcuni degli esempi; tuttavia con il tempo le armi hanno perso il loro senso di protezione e sono state trasformate in simboli di offesa, per cui nell’immaginario collettivo un’arma impugnata diventa la rappresentazione del male.
Legandosi a tutti questi elementi, la volontà di Andrea Chisesi è di mostrare uno spaccato sull’arte sacra dimenticata, che evidenzia un aspetto forse poco noto del tessuto culturale siciliano, rappresentato dal “Santino”, il piccolo foglio di carta raffigurante l’immagine del Santo o della Santa, completato nel retro da una preghiera votiva.
Anticamente il “Santino” si portava appeso al collo, come scongiuro per le malattie o per allontanare malefici: infatti la crescente devozione verso le immagini sacre “tascabili” acquisì nel tempo un significato di protezione: le immaginette non potevano essere strappate o gettate via, ma venivano bruciate ed accompagnate da una preghiera, come in una sorta di rito liberatorio.
Nella tradizione ottocentesca nascono i santini merlettati, realizzati dalle suore di clausura che con un ago iniziavano a bucarne i bordi e a decorare l’immaginetta, ricordando le spine della corona di Cristo.
La collezione ispirata alle icone del popolo, trasfigurate da una sorta di magia sospesa tra il sacro e il pagano, ]]comprende ad esempio San Giorgio patrono di Modica che somiglia all’Orlando furioso, paladino a cavallo dell’Ariosto; Santa Lucia che ci mostra il contenitore delle lentine usa e getta; Sant’Agata che tiene in mano un vassoio con due dolcetti tipici catanesi rappresentanti il simbolo del martirio, ovvero le Minnuzze, i seni della Santa che le furono asportati durante il martirio.
La cultura popolare del folclore siciliano viene così catapultata nel XXI secolo, come memoria mai perduta che diventa contemporanea attraverso le contaminazioni di Chisesi; l’artista dipinge le sue Icone con i simboli della nuova società, nel pieno rispetto della tradizione che trae le sue origini dalla sua terra. Di padre palermitano infatti, Chisesi apprende le usanze siciliane tramandate dai nonni, ricordi di un’infanzia piena di credenze e riti propiziatori, di sarmatiche suggestioni e, con il bisogno di rendere sempre vive nella memoria i luoghi di un tempo passato, rinnova il culto attraverso la “preghiera” del Pop.